domenica 9 giugno 2013

LE MIE RADICI IN UN QUARTIERE


Quando nasciamo, siamo ignari, di che cosa consista la vita, cosa siano le nostre radici e dove ci porteranno le nostre ali.
L’unica nostra felicità sono due braccia che ci cullano, e l’istinto di sopravvivenza, 
niente differenza tra noi e gli animali.

Poi la vita comincia a scorrere, lenta e al contempo troppo veloce, il nostro tempo scandisce i nostri passi , regalandoci gioie e sofferenze, pensieri ed emozioni.

E’ talmente vano interrogarsi sulla vita, mi dico, tanto il destino fa da padrone, e per quanto tentiamo d’ingannarlo, lui è la, dietro l’angolo e ci aspetta.

Stamane sono andata a Monteverde Nuovo , all’ospedale San Camillo, ahimè per delle visite di controllo al mio padrone di casa, che ultimamente fa i capricci più del solito e comincia a darmi pensiero, tanto più che non sono più una bambina.


Ho deciso di portare con me una macchinetta fotografica: in realtà in quel quartiere ci sono le mie radici, e magari sarà curioso vedere quanto sia cambiato; ci manco ormai da quasi 40 anni, e non sarò stata l’unica a cambiare.

Così faccio la visita, alcune foto, vado a trovare mio fratello maggiore, che è sempre rimasto li ad abitare , e poi decido di tornare.

Mentre aspetto l’8 (il tram) che prenderò per recarmi alla stazione di Trastevere, la mia mente vaga.
Davanti a me le vetrine dell’Upim che si affaccia su Ponte Bianco a ridosso della via Donna Olimpia.

Per un attimo mi viene in mente mio padre, chissà perchè , ma il pensiero va a lui.
Venuto a Roma da una cittadina della Puglia , che era ancora bambino, chissà che avrebbe pensato della sua vita, di quale passi lo portarono a camminare tra queste vie, come faccio oggi io, ricalcando i suoi.

e di mia madre, che proprio davanti a quell’Upim , mi abbottonava meglio il giacchino, mentre io piccola e timida , arrossivo impacciata davanti a un fotografo.

Ho ancora quella foto, è in bianco e nero, e riflette i miei occhi infastiditi dal controluce, sembra stessi per piangere,
invece piango adesso, mentre cerco i miei genitori,  tra i miei ricordi, e non li trovo più.
Eppure sono qui, li sento vivere in me, perchè li porto sempre dentro, e perchè avrò rubato a ciascuno qualcosa, che oggi mi fa essere chi sono.
A quei tempi, Upim era uno dei primi grandi magazzini usciti in Italia. Visto coi miei occhi di bimba era per me enorme e infinito, quando ci andavo con i miei genitori mi sembrava di andare nel paese dei balocchi.
Oggi con l'avvento dei centri commerciali, entrando ho provato una stretta al cuore e una sorta di delusione, sembra una scatoletta di sardine e in più internamente è un pò cambiato da come lo ricordo. Comunque ...
la mia storia comincia qui, proprio al San Camillo, la mia famiglia allora abitava ancora a Trastevere, in una famiglia patriarcale.
Ma mia madre, aveva problemi di cuore e a sentir mia nonna, non fosse stato per lei e per i grandi valori che aveva, io non sarei neanche nata.
Saltò giù dal tavolino all’ultimo momento, dopo che l’avevano convinta a praticare un aborto clandestino (allora non era permesso), lasciando inebiditi i dottori già pronti ad operare .. e così, qualche mese dopo. io nacqui.
E qui nacque anche mio fratello più piccolo, mentre il grande nacque al Regina Margherita.
L’8 tarda e io ripercorro tutta la via donna Olimpia col pensiero. Ho fatto alcune foto nei luoghi che più risvegliano i miei ricordi e le mie emozioni.
Purtroppo mi manca la scuola, ma mi sono ripromessa di tornarci, tanto dovrò farlo perchè ho ancora delle visite in zona che mi aspettano.

Ricordo quando nacque la zona. La maggior parte palazzi alti, creati da enti che approfittavano del boom degli anni 60.  Non ci volle molto perchè il quartiere si popolasse.
Così anche mia madre, decise con mio padre, di lasciare Il 'casermone' di Trastevere, che tra l’altro fu poi demolito, e di trasferirsi a Monteverde Nuovo.
Seguita a ruota da mia nonna, che le venne ad abitare dietro l’angolo, per esserle d’aiuto.
Noi abitavamo al primo piano di un palazzo in via Fiorino Fiorini, al civico 27, rammento persino il numero di telefono, forse è vero che mano, mano che s’invecchia si fanno più nitidi i ricordi dell’infanzia.
Sotto il balcone della nostra camera c’era un garage, che collegava con i garage di altri palazzi.
Il balcone si poteva scorgere dal lato del portone, ma ora è cresciuta l’erbaccia e mi sono dovuta arrampicare per vederlo 
Di fronte il palazzo si arrampicava una strada in salita.
Noi la facevamo con mia madre, tutte le volte che decideva di andare a fare la spesa al mercato , in piazza San giovanni di Dio,


 oppure di andare alla Standa,


 un altro grande Magazzino nato quasi in contemporanea con l’upim , ma che oggi non c’è più.
Rivivo come fosse oggi quella salita, mia madre con noi accanto e il carrello della spesa nella mano, quando ogni tanto, soprattutto a fine salita, era costretta a fermarsi, per riprendere fiato.
Noi eravamo piccoli e forti, ma percepivamo il suo disagio e aspettavamo pazienti che si riprendesse , per procedere verso la meta.

Dall’altro lato, alla destra del portone la strada scende. 
Subito a destra, c’è la via che conduce all’abitazione dei miei nonni materni.
Abitavano al piano terra, in quella che oggi è rimasta l’abitazione di mio fratello.
Mio nonno, che era invalido di un male raro, s’era ingegnato per ricvare un’entrata dalla grata del terrazzino, in modo di non dover fare il giro del palazzo per essere subito in strada.
La cosa tornava a favore , anche per noi bambini, che arrivavamo presto a casa dei nonni e che potevamo parcheggiare le nostre biciclette nel terrazzino. 
Bastava fare il giro del palazzo poi, per giungere al portone vero e proprio , in via Damaso Cerquetti , al civico 67.
pensate questa foto in bianco e nero accanto è mio fratello con la sua bici,
accanto al portone, appunto circa 40 anni fa
ed eccomi da mio fratello, oggi lui è ancora qui, dopo 40 anni , è cresciuto e con lui la sua barba, ha preso la portineria dove abitava mia nonna, ma avverto che i tempi sono cambiati e non è pià come quando mio nonno giocava a carte con Livio, il portiere di allora e sono per lui tempi duri. E me ne spiace, lo so non ci sentiamo quasi mai, e altrettanto ci vediamo poco, ma gli voglio un mondo di bene e lo vorrei felice.
Mentre parlo con lui, il mio sguardo non può che non cadere sul corridoio principale del palazzo.

La porta in fondo, con la luce riflessa, è quella dove oggi abita mio fratello, quella della casa col terrazzino, dei miei nonni.
Dentro mi viene una smania inutile e vana.
-‘Adesso suono’ - penso. convinta che si affaccerà mia nonna, dietro quel piccolo ‘catenaccetto’ che gli permette di vedere la gente da dentro senza aprire del tutto la porta.
Ricordo che l’estate l’usava per tenere leggermente aperta la porta di casa e far circolare un pò l’aria
continuo a fissare la porta , approfittando che mio fratello è occupato con un condomino.
Vorrei chiedergli di entrare in casa, ma desisto, lui sta lavorando, e preferisco risparmiarmi la delusione del vuoto che accompagna i ricordi.
Così, a malincuore mi congedo , e torno sui miei passi, alla mia vita, mentre altri frammenti di me si affacciano alla mente.
Via Rivoltella, ‘la via della spesa’ ,così la chiamavo io, per via che il mondo commerciale di mia nonna e di mia madre per la maggioranza si svolgeva lì.
All’angolo il bar di Filippo, che c’è ancora oggi, ma non so più se è ancora suo, la tabaccheria, la macelleria, il panificio, e una frutteria che per un periodo di tempo era stata in gestione di mia nonna.
In quel periodo ero piccolissima, e quindi ne ho un ricordo appena percettibile.
c’era poi un vini e oli, e più su , sull’altro marciapiede, la parrucchiera dove mia nonna quasi tutte le settimane andava a sistemare unghie e capelli.

I miei ricordi su questa via , mi portano a un periodo particolare, sui 7-8 anni, poco prima che mia madre morisse.
In quel periodo giocavamo a fare i grandi con mio fratello.
Con la scusa di acquistare le sigarette per mia nonna (lei fumava le HB), insieme a  mio fratello compravamo le sigarette per noi, che poi non sapevamo nemmeno aspirarle...
le tenevamo nascoste in un armadio a muro nel piccolo corridoio di casa  e poi ci nascondevamo sotto un piccolo calcio balilla che tenevamo nel giardinetto, coperti sotto alcune coperte di somma che occorrevano per proteggerlo dalle intemperie. 
Finchè mio nonno, un bel giorno , non vide del fumo uscire da sotto le coperte e fu scoperta la marachella.
Mia nonna avvertì il tabaccaio di non darci più sigarette, se non solo le sue e mai più di un pacchetto al giorno e così finì il gioco.
Il macellaio era simpatico, lo ricordo gentile e scherzoso, la carne però a me in quel periodo non piaceva, anzi credo non mi piacesse altro se non soltanto prosciutto crudo.
si chiamava Alberto, era un bell'uomo, oggi però sarebbe abbastanza vecchio da non credere che sia ancora lui, magari i figli, se non rammento male aveva due maschi e la moglie gli morì presto.
Non posso giudicare la qualità della sua carne, eppure pur non piacendomi ne ricordo l'odore mentre sfriggeva in padella, accompagnata dalle patatine fritte , che in casa di mia nonna non mancavano mai. e mi torna in mente l'immagine di queste fettine grandissime, che però diventavano la metà una volta uscite dalla padella.
Scendendo sulla via donna Olimpia, ancora qualche immagine mi lega al passato.
Decido di traversare e mi reco in Chiesa.
Bè qui c'è un bel pezzo di me. 
Non c'era domenica che mia madre non ci accompagnasse alla Messa. In questa chiesa ho fatto la mia prima comunione, ho tirato i primi calci a un pallone come un maschiaccio, ho assistito a tante cerimonie, tra cui purtroppo alcune anche tristi.
La chiesa è la San Giulio 1° Papa ed è rimasta quasi intatta, salvo per il campetto di calcio adiacente, che adesso è divenuto un parcheggio.
A parte la mia prima comunione l'aneddoto che più mi lega a questa chiesa è ahimè un pò triste.
diciamo che è legato a una delle mia prime delusioni della vita.
Mi ero innammorata di una borsettina di perle lucide di colore blu. ricordo che la desiderai tantissimo , perchè il suo costo era un pò elevato e così , alla prima occasione, ma sono sincera non ricordo quale fu, mia madre me la regalò.
Quella domenica, vestita tutta carina, come sempre (mia madre ci teneva moltissimo) con le scarpe abbinate e le mie scarpette lucide come la borsa, ne facevo sfoggio e mi sentivo una regina , con la mia borsetta nuova.
Seduta al banco della chiesa, vicino a mia madre, spesso mi distraevo dall'altare, i miei occhi erano solo per la mia borsetta. 
Era tra la'altro la prima volta che la portavo con me e fantasticavo sul suo prossimo utilizzo.
Bè , non ci crederete, non so come successe, fatto sta che io uscìì dalla chiesa senza la borsetta a tracolla.
Me ne resi conto quasi subito, appena salite le scale e giunti all'uscita.
Immediatamente i miei genitori si adoperarono per trovarla, ma non fu possibile rientrare subito in chiesa, poichè l'afflusso della gente che usciva era ancora molto e dovemmo attendere che la chiesa si svuotasse.
Ahimè giunti al banco, la borsetta non c'era più.
Ricordo la costernazione di mia madre, quel cipiglio misto di rabbia e compassione mossa verso di me, che con gli occhi lucidi in silenzio abbozzavo una delle prime delusioni nella mia vita, quando ti accorgi che il mondo non è solo rosa, e quanto ci può essere di cattivo al mondo se persino in chiesa qualcuno si appropria di qualcosa che non è suo, addirittura una borsetta di una bimba ...
mio padre andò a chiedere in sacrestia ... niente.
Fu così che quel giorno non fui nemmeno rimproverata per la sbadataggine, forse mia madre era rimasta più male di me e decise in cuor suo di non interferire.
Però qualche giorno dopo andammo ad acquistare di nuovo la borsetta, che però era rimasta solo di colore rosso e a me non piaceva come la blu,  francamente non riesco a ricordare se mi accontentai o se alla fine non la prendemmo più.
Strano come la mente possa essere tanto selettiva , dello stesso ricordo possiamo avere ricordi nitidi o meno a seconda dell'interesse o dell'emozioni che ha scatenato in noi


























poi la pasticceria, dove immancabilemente, ci attendeva la 'pastarella', quella grande, quella di una volta, che ti ricordava che oggi era festa, era domenica.
C'erano al banco due signore toscane e simpatiche, oggi è divenuta bar, come tra l'altro è succeso  a quasi tutte le pasticcerie che hanno deciso di sopravvivere ai tempi.
Il bar è molto bello e accattivante, anche se sono sincera il personale lascia un pò a desiderare.
Sono entrata curiosa e ho chiesto un tramezzino con un succo all'ananas. 
in quell'ora non c'era nessuno , se non il barman che parlottava con una coppia a fianco a me. sono passati più di 5 minuti prima che mi rivolgesse la parola e si degnasse di chiedermi che volessi. E alle fine il succo di frutta me l'ha dato un altro commesso sopraggiunto dopo.
Per uno strano scherzo del destino, oggi io lavoro in un bar pasticceria dall'altra parte di Roma, sarà per tutte le volte che da piccola , ammaliata dal profumo di questa pasticceria , pregavo di lavorarvi da grande, forse Dio mi ha esaudito ...ma se io e i miei colleghi ci comportassimo così con i clienti rischieremmo il licenziamento in tronco ....
E così continuo nelle camere della mia mente ed estrapolo ricordi.
La clinica Città di roma, di fronte alla chiesa, dove mia nonna più volte , cagionevole di salute, era costretta a ricoverarsi, perchè a questo qusrtiere mi legano ricordi belli, ma altrettanto tristi, la via interna dove abitava mio zio Alfredo, figlio di zio Pietro, fratello di mia nonna,Oggi i figli avranno la mia età circa e chissà che fine hanno fatto.
Lì vicino c'era un alimentari che teneva un pappagallo parlante fuori dal negozio. si chiamava Loreto e quando passavamo di lì per noi era sempre un attrazione.

infine, camminando sono di nuovo di fronte all'Upim, tanto negozi non ci sono più, da una via scorgo il campanile di un'altra chiesa di zona, la S. Damaso , che però io ho frequentato pochissimo,mi volto ancora e da lontano scorgo

le mura della mia scuola, la Giorgio Franceschi e di lei parlerò un altra volta.
Abbasso lo sguardo,le bancarelle non c'erano, ma le strade sono sempre le stesse, solo che allora  i marciapiedi erano nuovi e puliti, oggi  ecco come sono ridotti, un pò come noi, che col tempo diventiamo tutti un pò malandati, ci vorrebbe un dottore bravo, meglio un amministrazione brava.

Intanto è arrivato il tram, sto lasciando una bimba e torno alla mia vita. Scesa dal treno mi guardo intorno e riconosco il mio quartiere, il mio oggi, questa è ormai la mia vita,

 mio figlio è nato qui, forse un giorno chissà ... dove lo porteranno i suoi passi....   patty

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